X-XI secolo. SALTERIO – COLLETTARIO

900 Salterio – Collettario ad uso monastico
BQBs Ms. H.VI.21

c 010+c 020+X-XI secolo SALTERIO – COLLETTARIO (PDF)

Ricerche sul breviario di Santa Giulia – SALTERIO COLLETTARIO

(Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. H VI 21)

Il monastero di Santa Giulia

Il monastero di Santa Giulia, il più importante monastero femminile della città di Brescia, fu fondato nella seconda metà del sec. VIII dai Longobardi. Secondo la tradizione fu la regina Ansa, moglie di Desiderio e di origine bresciana, a volere la fondazione del cenobio, che risalirebbe circa al 753.

L’intitolazione originaria era a s. Michele arcangelo e a s. Pietro, secondo la tradizione longobarda, ma già verso la fine del secolo è noto come monastero di San Salvatore; infine, all’inizio del X secolo, si afferma l’intitolazione a s. Giulia. Queste diverse intitolazioni hanno un preciso significato: il passaggio dai ss. Michele e Pietro alla figura del Salvatore avviene negli anni della lotta iconoclasta e corrisponde alla volontà di mostrare espressamente la piena adesione alla posizione papale e di accattivarsi le simpatie della popolazione latina. In seguito, nel momento di ripiego dell’influenza del monastero da un ambito internazionale ad un ambito particolare, l’intitolazione del cenobio è ormai alla martire africana santa Giulia, le cui reliquie, portate a Brescia dalla Sardegna nel sec. VIII, erano conservate nella chiesa del monastero. Fu Desiderio a far trasportare, nel 762, il corpo della vergine africana martirizzata in Corsica dall’isola di Gorgona a Brescia, dove fu tumulato nella cripta di san Salvatore. Per la prima volta la dedica del monastero alla santa appare in un documento del 915 (Masetti Zannini, 1980).

Alla guida della comunità, alla sua fondazione, era la badessa Anselperga, figlia di Ansa. Fin dalle origini il monastero venne dotato di ogni genere di beni: ricche suppellettili, arredi sacri e soprattutto vastissimi possessi terrieri, estesi nella pianura Padana, ma anche in Toscana e nei ducati di Spoleto e Benevento. Tale generosità corrisponde ad un preciso progetto politico di Desiderio: rafforzare la propria base d’appoggio grazie al potere familiare e a un vasto patrimonio terriero, sottratto al fisco e ad altri controlli, e ufficialmente posseduto dal cenobio, ma praticamente controllato dal re. Conferma di ciò è la posizione strategica dei terreni sottoposti alla giurisdizione del monastero, punti d’appoggio nei ducati di Spoleto e Benevento e cintura di controllo a ridosso del ducato di Roma.

Il luogo stesso di edificazione del monastero, nella città bresciana, lungo la direttrice Milano-Verona, al centro pertanto di una via di transito di uomini e di merci, contribuisce a rafforzarne l’importanza strategica (Bettelli-Bergamaschi, 1996).

Dal punto di vista giuridico, il monastero è sottoposto alla protezione regia e l’elezione della badessa avviene all’interno della comunità monastica. Questo salvaguarda l’istituzione da ingerenze estranee, fatta eccezione ovviamente per la famiglia dei fondatori, che tende, come noto, a ritenere la carica un titolo familiare ereditario. È poi probabile che nel 762 il monastero abbia ottenuto dal papa un privilegio di esenzione, che lo sottraesse alla giurisdizione vescovile (Kehr, 1913). Si tratta di un atto che testimonia una volontà di pacifica convivenza tra Papa e Re longobardo e che pone le basi per una serie di rapporti del monastero, anche nei secoli successivi, con vescovi di altre città, in particolare con vescovi d’oltralpe. Ricordiamo che dal V all’VIII secolo i privilegi di questo tipo sono molto rari: ne sono attestati due nel territorio franco e cinque in Italia, di cui questo di S. Giulia è l’unico rivolto ad un monastero femminile: indubbiamente è un segno di riconoscimento della particolare posizione del monastero.

Con i Carolingi, la protezione regia si trasforma in protezione imperiale e continuano le donazioni di terreni, privilegi e immunità. Il controllo del sempre più vasto territorio posseduto dal monastero è affidato ad un rappresentante dell’imperatore, l’advocatus, mentre il monastero è concesso in beneficium prima alla moglie di Ludovico il Pio, poi alla moglie di Lotario e quindi alla figlia Gisla. Per questa via il controllo imperiale sulla nomina delle badesse è assai forte, del resto nel monastero vengono accolte quasi tutte le figure femminili della nobiltà locale, destinate alla vita del chiostro o semplicemente a ricevere la degna preparazione per un destino di mogli di duchi, re, imperatori. Le indagini architettoniche e archeologiche sul sito del monastero confermano ciò: vera un edificio destinato appositamente alle educande, che vivevano nella clausura, ma erano separate dalle professe e dalle novizie e osservavano regole particolari. Al monastero di S. Giulia erano destinate le fanciulle delle famiglie dei ceti superiori: quelle dei ceti medi venivano educate nel monastero dei SS. Cosma e Damiano (Zanini, 1992).

Il potere politico ed economico del monastero tra la fine del sec. IX e il sec. X è attestato da un inventario di beni contenuto in un rotolo di 12 pergamene, copia di poco posteriore all’originale, che si è conservato fino ad oggi (Pasquali, 1978). Il polittico offre una descrizione dettagliata dei terreni sottoposti alla giurisdizione del cenobio e dei beni prodotti, ed ha pertanto un altissimo interesse dal punto di vista economico e commerciale (tra l’altro testimonia che S. Giulia possedeva un porto a Pavia, come altri grandi enti ecclesiastici del tempo) (Per un’esatta descrizione dei limiti territoriali della contea di Brescia si veda da ultimo R. Navarrini (1991).

D’altro canto i rapporti politico-religiosi con i potenti dell’epoca e con importanti comunità monastiche e canonicali d’oltralpe, ad esempio le abbazie di Reichenau e di Murbach ed il Capitolo cattedrale di Soissons, ci sono testimoniati da un altro importante documento: il codice necrologico-liturgico del monastero, conservato oggi nella Biblioteca Queriniana di Brescia. Si tratta del codice conservato nella Biblioteca Queriniana con la segnatura G VI 7, di cui esiste una riproduzione diplomatica dell’800: Codice necrologico-liturgico del monastero di S. Salvatore o S. Giulia di Brescia, a cura di C. Valentini (Brescia, 1887).

Nell’età post carolingia il monastero di S. Giulia attraversa un periodo di indebolimento e disorientamento: nel sec. X i diplomi dei privilegi concessi da Berengario alle monache del monastero (che ospitava sua figlia Berta) attestano la necessità che il cenobio sentiva di proteggere i propri territori con castelli e fortificazioni.

Alla protezione imperiale si va sostituendo progressivamente la protezione delle nobili famiglie locali, come l’identità stessa delle badesse testimonia: dal sec. XI può dirsi cessato il ruolo ‘intemazionale’ del monastero, sempre più vincolato agli interessi particolari bresciani e padani. Dal 1134, con l’elezione della badessa Stefania, non si avranno più badesse di sangue reale, bensì provenienti dalle maggiori famiglie bresciane (M. L. Gatti Perer, 1995). A questo nuovo orientamento corrispondono le cessioni dei possessi più lontani dall’area padana e le permute con terreni vicini al territorio bresciano. Per lo sviluppo urbanistico della città il ruolo del monastero di S. Giulia fu determinante tra la fine del sec. XII e il secolo successivo, tanto per i terreni circostanti il cenobio, quanto per i possessi più lontani (Andenna, 1992).

In compenso nel corso del sec. XI il monastero è oggetto di diverse concessioni da parte dei vescovi di Brescia, che perseguono una politica filoimperiale anche attraverso la ricerca di appoggio delle fondazioni monastiche più prestigiose. In questo periodo viene probabilmente fondata la cappella pubblica di San Daniele (veramente la prima notizia storica risale al primo decennio del sec. XII, ma l’attività di clerici presso S. Giulia è documentata a partire dal sec. XI, con una bolla di esenzione di Niccolò II e la costruzione stessa della chiesa è da riferirsi a questo secolo), officiata dai canonici della Cattedrale che si occupavano del culto liturgico del monastero (di questa attività è testimonianza il codice conservato a Oxford, Bodleian Library, Canon. Lit. 366: si tratta di un breviario-graduale dei canonici di S. Daniele).

A partire dal sec. XIII il cenobio attraversa una serie di crisi religiose, disciplinari ed economiche, cui corrispondono diversi tentativi di riforma, non sempre destinati al successo. Sintomo di ciò le continue dispute tra le monache per l’elezione della badessa. Nel sec. XV infine il monastero viene collegato alla congregazione benedettina di Santa Giustina di Padova.

Il codice Brescia, Biblioteca Queriniana H VI 21.

Descrizione esterna:

Sec. XI prima metà. Membr., ff. III (moderni), 51, I’ (moderno); fase. 14(fascicolo fittizio, risulta dall’unione di un bifolio, ff. 1-2, e due fogli sciolti, ff. 3-4), 2-68, 77 (il bifolio interno è fittizio, l’ultimo foglio è caduto); inizio fascicolo lato pelo; mm. 318 x 248 = 16 [245] 55 x 20 [80 (20) 81] 45; rr. 28/11. 28; rigatura a secco un bifolio per volta: >>>> | <<<<; richiami orizzontali, tracce di segnatura dei fascicoli (sec. XIV): a f. 12v.5., a f. 20v .6.; lato pelo – lato carne molto diversi. Legatura di restauro. Il codice è mutilo e frammentario nei primi fogli, spesso il margine inferiore dei fogli è lacerato.

A f. I’r una mano del sec. XX scrive: Sulla vecchia copertina in cartone una mano del sec. XIX aveva scritto « Antico rituale per uso delle monache del monastero di S. Giulia ». Ai ff. 11v e 14r sul margine inferiore dominus Albertus del sec. XIII.

La decorazione del codice comprende tre iniziali: B a f. 2v tracciata in rosso; D a f. 10r in rosso su pergamena risparmiata con tralci vegetali su fondo verde; P a f. 20r a inchiostro con elementi zoomorfi e tralci vegetali. Inchiostro aranciato. Vi sono poi iniziali minori tracciate a inchiostro o in rosso con tratti di colore rosso, giallo o bruno, decorate a intrecci geometrici di influenza insulare, con qualche forma vegetale. Sul margine inferiore di f. 34r è disegnata una figura umana in forma assai semplificata, forse ad opera dell’Albertus lettore del sec. XIII. La decorazione delle iniziali minori è assai prossima ad un manoscritto bresciano dell’inizio del sec. XII, l’Ambros. LI 5 inf.

Descrizione interna:

ff. 1ra-4vb: Salterio (frammentario: Salmi 137-150, 151 del salterio romano): si conclude, a f. 4vb con l’Oratio finito salterio (P. Salmon, Psautiers abrégés du Moyen Age, in Analecta liturgica: Extraits des manuscrits liturgiques de la Bibliothèque Vaticane, Città del Vaticano, 1974 (Studi e Testi, 273), p. 386)

ff. 5ra-9vb: Cantica

ff. 10ra-19rb: Orationes super psalterium = Prudenzio di Troyes, Flores psalmorum, manca il prologo (Ibid., pp. 93-119). A f. 17r di Brescia H.VI.21 si trova una rubrica più estesa che quelle nei manoscritti collazionati da Salmon: Hic adiunge beati inmaculati cxviii. Iste psalmus et in prosperis et in adversis semper est decantandus: non est hic clausula uel uersus in quo non contiliatur uia uel lex aut testimoniurn Domini atque precepta, siue iustificationes, eloquia, iuditia [ ] uel timore. …siue mandata et quid dicam, super aurum et argentum concupiscibilis, preciosior lapidibus, dulcior melle, et omnibus digna petentibus [congruor] esse repperiatur cunctis.

f. 19rb: Aggiunta del sec. XII relativa alle reliquie conservate nella chiesa del monastero di S. Giulia (In ecclesia que domina Rolinda abbatissa in honore sancti Iohannis evangeliste funda- vit continentur horum sanctorum reliquie: Felicissimi scilicet Agapiti necnon Primi et Feliciani atque Firmi et Rustici seu ex eiusdem sancti Iohannis vestimenta, Iacobi, …sapini atque Antonini seu Stephani Fe… nec non vestimenta sancte Marie Iustineque virginis ac Victorie et Galle virginis. Atque Domini sudario sive eiusdem sepulchro ac de ipsius … Necnon et ex ceterorum sanctorum quam plurimarum p… ibidem quamplurime continentur, nomina vero quorum no- bis incognita, Deo autem optime nota (le ultime lettere di alcune righe sono illeggibili: vengono segnalate dai puntini)

ff. 19rb-19vb: Cinque inni aggiunti nel sec. XII: Ex more docti mystico (Analecta Hymnica 51,55), Summe largitor premii, Aureas ad nostras deitates preces (Ibid. 51, 61); Clarum decus ieiunii (Ibid., 51,57); Ihesu redemptor seculi (Ibid. 51,43)

ff. 20ra-51vb: Collettario-capitolario-diumale, incompleto. Tre inni, a f. 23r, Aeteme rerum conditor, a f. 23v, Iam lucis orto sydere, a f. 46v, Martyris dies ecce Agathe, recano notazione neumatica. Glosse marginali e interlineari da f. 20r. Le litanie ricordano i santi Faustino e Giovita, Ursicino, Apollonio, Filastrio, Giulia.

Tipologia del codice

La tipologia del codice si definisce difficilmente con un vocabolo solo: riunisce difatti parecchi elementi testuali dell’ufficio divino, cioè il collettario, il capitolano ed il diurnale. Sono presenti nel complesso i testi di inni, antifone, responsori brevi, versicoli, capitoli, collette, orazioni e benedizioni, ma non i responsori prolissi né le lezioni del mattutino. Il manoscritto contiene l’ufficio feriale ed un santorale e temporale misto che si estende dall’Avvento al lunedì nella quarta settimana della Quaresima.

Nello stato primitivo, il codice iniziava con un Salterio ed i cantici, del quale esistono tuttora solo nove carte. Al Salterio (ff. 10r-19r) succedono i Flores Psalmorum di Prudenzio di Troyes, un rappresentante del genere del salterio abbreviato di origine tarda-merovingia e carolingia (Sulla datazione e la funzione di questo salterio abbreviatio, vedi Salmon, Psautiers abrégés cit., pp. 74-75, 88-91). I Flores sono orazioni basate sui Salmi organizzate in una serie comprendente una orazione per ogni salmo; spesso parafrasano invece di citare il testo biblico (Ibid., p. 75). La funzione spirituale dei salteri abbreviati nel nono secolo, secondo Salmon, era di rendere più praticabile l’obbligo monastico di una recitazione quotidiana del Salterio intero. Anche se la diffusione della Regola di San Benedetto durante l’epoca carolingia ha contribuito all’introduzione di un cursus ebdomadario e non più quotidiano del Salterio già nel nono secolo, la continuità dell’antica pratica liturgica oppure un ideale di questa pratica favoriva la trasmissione dei Flores psalmorum in manoscritti dell’undicesimo secolo (Ibid., pp. 92-93). Il codice bresciano contiene dunque elementi del Salterio monastico e del breviario composito primitivo; sembra meglio designarlo un collettario sviluppato, come ha fatto Pierre – Marie Gy (1960).

Origine del manoscritto

L’origine bresciana del Querinano H VI 21 non sembra dubitabile. Infatti il testo liturgico da un lato rivela come si tratti di un codice rivolto ad una comunità monastica, dall’altro, nelle litanie (trascritte ai ff. 29r-30r), offre chiari elementi di localizzazione, nominando santi quali i patroni cittadini Faustino e Giovita, i vescovi bresciani Filastrio, Ursicino, Apollonio, e santa Giulia, cui il monastero bresciano è dedicato. Non molto successivo alla redazione del codice è l’intervento a f. 19rb, in uno spazio di pagina rimasto bianco tra la fine del Salterio e l’inizio del Collettario. In queste poche righe si fa espressa menzione di una badessa del monastero di S. Giulia, che resse il cenobio nel primo quarto del sec. XI. E’ citata in un documento del 1014 (Archivio di Stato di Brescia, Codice diplomatico bresciano, busta 5, 29).) e viene quindi presentata una lista di reliquie conservate nella chiesa di S. Giovanni evangelista. Si tratta della chiesa di S. Giovanni de intus o S. Zanino, da non confondersi con la chiesa di S. Giovanni de foris, sede di un’importante comunità di di canonici (cfr. ). Purtroppo non è identificabile quel lettore, dominus Albertus (a f. 14r è forse possibile leggere Dominus Albertus Albricias), che nel sec. XIII appone la propria firma sul margine inferiore dei ff. 11v e 14r. Infine, abbiamo visto la nota riportata sull’ultimo foglio di guardia, apposta presumibilmente nel momento d’ingresso del codice nella Biblioteca Queriniana. Oltre a questi elementi espliciti, l’analisi paleografica è in grado di offrire altri dati a conferma dell’origine bresciana, come pure il confronto tra la notazione neumatica presente nel codice e gli altri manoscritti liturgici bresciani di epoca coeva recanti indicazioni musicali.

Analisi paleografica:

Il codice è opera di un solo copista, cui si deve la trascrizione della parte originaria, nel corso della prima metà del sec. XI. Lo scriba utilizza una carolina inclinata a destra, in cui le aste di f, r, s, scendono sotto il rigo, le legature sono ridotte a st, ti, tu, ri, ru e poche altre. La separazione delle parole è ancora incerta, le lettere non sono bene allineate sul rigo di base. Le aste alte recano un ingrossamento triangolare, mentre quelle discendenti sotto il rigo sono semplici, il rapporto aste/corpo medio della scrittura è leggermente superiore a 2. Le abbreviazioni sono del tipo più comune, in particolare il dittongo ae è segnalato da un segno a zigzag al di sotto della lettera e; comune è poi, anche se non esclusiva, la legatura per la congiunzione et. L’interpunzione prevede il punto fermo e il punto e virgola. L’alfabeto maiuscolo è composto da lettere inscrivibili in un rettangolo con base minore poggiante sul rigo.

Gli interventi ai ff. 19rb e 19rb-19vb si devono a due diversi copisti, attivi uno alla fine del sec. XI l’altro intorno alla metà del sec. XII. Per la scrittura del primo notiamo come la legatura et sia usata costantemente, anche per la desinenza verbale; la legatura st è ancora presente, ma è ora una falsa legatura; osserviamo come il tratto orizzontale della lettera t termini con una lieve curva verso l’alto, i due occhielli di g siano meno distanziati, la lettera a abbia dimensioni leggermente superiori alle altre lettere e abbia l’asta lievemente inclinata, la lettera e compaia nella forma cosiddetta ‘crestata’.

Il copista che trascrive gli inni ai ff. 19rb-19vb opera ormai entro il secolo XII: utilizza una tarda carolina in cui l’individuazione della parola grafica è completa, le lettere sono perfettamente allineate sul rigo, sul quale poggiano i tratti di f, r. Il tracciato delle curve non è ancora spezzato, ma i primi tratti di m, n, r, i sono assimilati. Il rapporto corpo/aste delle lettere è passato a 1,4 per le aste alte e 1,6 per le aste discendenti. Come il copista della fine del sec. XI, anche questo scriba ha il vezzo di terminare il tratto orizzontale di t con un movimento verso l’alto e traccia la lettera a, talvolta, con l’asta inclinata. Sporadicamente compaiono alcune varianti di lettera, quali s finale capitale o soprascritta, d onciale (nell’abbreviazione per quid e nei monosillabi). L’uso di abbreviazioni è più esteso che nelle scritture già viste, in particolare sono frequenti le abbreviazioni per letterina soprascritta; l’unico segno di interpunzione usato è il punto fermo. L’alfabeto maiuscolo comprende lettere inscrivibili in un quadrato.

Infine dobbiamo considerare la scrittura del glossatore: le glosse apposte sul codice negli ultimi 30 fogli sono infatti opera di un solo copista (ad eccezione di alcune integrazioni alle litanie, ai ff. 29rb, 30rb, opera di una mano del sec. XII, che interviene anche a f. 48v): alcuni usi, quali la presenza di d onciale all’interno di parola, -s finale soprascritta, i trattini diacritici che segnalano la doppia i, il segno tachigrafico per la congiunzione et, il segno abbreviativo per con-/cum- inducono a datare il glossatore ai primi anni del sec. XII. In particolare segnaliamo per questo copista il frequente uso di maiuscole all’intemo di parola (ad es. soRoribus), fenomeno frequente nei manoscritti bresciani.

La notazione musicale e le glosse agli inni

Essendo soprattutto una raccolta di testi per l’ufficio e non un libro di canto, il codice contiene poca notazione musicale; però alcuni neumi italiani adiastematici furono aggiunti a tre inni tra la fine dell’undicesimo secolo e l’inizio del dodicesimo. I neumi, scritti da tre mani diverse, assomigliano a quelli (benché molto più curati) di un codice bresciano dell’inizio del dodicesimo secolo (Oxford, Bodleian Library, Canon. Lit. 366. Per un’analisi paleografica del codice, vedi la tesi di dottorato (in corso) di M. Pantarotto; per la notazione, vedi M. T. Rosa Barezzani,1981.). I tre inni notati illustrano i diversi tipi di notazione musicale che venivano applicati agli inni nel secolo undicesimo e all’inizio del dodicesimo, quando la trasmissione orale dell’innario conosceva ancora poche eccezioni. In questa epoca la notazione degli inni manifestava delle abitudini particolari, alcune delle quali si trovano nel manoscritto bresciano. La notazione di Aeterne rerum conditor (f. 23r), per esempio, inizia alla metà della terza strofa e continua fino alla fine della nona. La melodia è la stessa in ogni strofa; questa notazione, estesa ma parziale e inesatta, ha probabilmente lo scopo di chiarire la prosodia di qualche brano piuttosto che di registrare la melodia intera. Le glosse a quest’inno erano già presenti quando furono aggiunti i neumi nei primi decenni del dodicesimo secolo.

Un’altra mano più attenta ha aggiunto neumi alla prima strofa di Iam lucis orto sydere (f. 23v). Anche se la notazione adiastematica non permette di rappresentare gli intervalli precisi, questo notatore sfrutta la distinzione tra virga e punctum per precisare il livello relativo di certi toni. La notazione della prima strofa, che potrebbe servire come modello per l’inno intero, è il metodo predominante di notare gli inni.

Nel terzo inno notato del codice bresciano, Martyris dies ecce Agathe (f. 46v) la notazione viene aggiunta a tutte le strofe, anche questo un modo corrente di notare gli inni nell’undicesimo secolo; questa notazione intera del testo è inoltre molto adatta all’illustrazione delle sfumature e delle eventuali differenze tra le strofe (anche se la notazione adiastematica impedisce un’identificazione definitiva, la melodia di Martyris ecce nel codice bresciano sembra identica a quella che porta il numero 147 nel repertorio di B. Stàblein, 1956). Il terzo notatore non sembra segnare varianti tra le strofe, ma il gesto di registrare con tanta cura la melodia intera dell’inno testimonia la sua importanza particolare, come pure la dimostrano le numerose glosse, aggiunte dopo la notazione musicale e riprodotte in appendice a questo saggio. In un contesto di predominante trasmissione orale, la decisione presa di aggiungere la notazione musicale a certi inni si basa su considerazioni particolari che possiamo solo indovinare. Nel codice bresciano la notazione di Iam lucis orto sydere, inno per l’ufficio di Prima che si cantava con melodie diverse durante il corso dell’anno, è forse una registrazione di una melodia possibile tra molte. Aggiungere neumi a Martyris ecce dies Agathe può significare invece un desiderio di registrare una nuova melodia o forse indicare un cambiamento liturgico nel culto di sant’Agata.

Il manoscritto Queriniano è una delle rare testimonianze di glosse latine interlineari e marginali agli inni liturgici dell’ufficio divino. Le glosse, che spiegano diversi aspetti dei testi degli inni (lessico, etimologia, dottrina), indicano che il manoscritto è servito a fini didattici, e quindi costituisce uno specchio della pedagogia e della cultura grammaticale delle monache di S. Giulia.

Le numerose glosse latine interlineari e marginali aggiunte ai testi degli inni costituiscono la caratteristica più significativa del codice bresciano. Queste glosse non appartengono ad una delle tradizioni testuali di glosse latine degli inni già conosciute sul Continente prima del 1100, che si trovano in manoscritti monastici dell’Italia centrale, del nord della Francia, della Linguadoca e dell’abbazia di Silos (per la descrizione e l’analisi di queste glosse, vedi S. Boynton, 1997.). Il riscontro del codice bresciano con altri innari glossati dimostra una certa parentela nelle glosse interlineari, che si trovano comunque in quasi tutte le tradizioni testuali. Questa similitudine potrebbe essere un caso, perché le glosse più comuni sono equivalenti abbastanza evidenti, soprattutto per quanto riguarda le poche corrispondenze con manoscritti dell’Italia centrale. Le poche glosse comuni al codice bresciano e a quattro codici dell’undicesimo secolo (Città del Vaticano, BAV Vat. lat. 7172 e Chigi C.VI.177; Farfa, Biblioteca del Monumento Nazionale, A.209; Monte Cassino, Archivio dell’Abbazia 420) sono le seguenti: otius: citius; polum: celum; aue: salue; alma: sancta; puram: mundam; machinam: fabricam. Le corrispondenze più strette e numerose sono quelle con i manoscritti dell’abbazia di Moissac e tre manoscritti della Francia settentrionale (Amiens, Bibliothèque Municipale, 131 (Corbie); Città del Vaticano, BAV Rossi 205 e Oxford, Bodleian D’Orville 45 (Moissac); Parigi, Bibliothèque Nationale de France lat. 103 (St. Denis); Parigi, BNF lat. 11550 (St. Germain-des-Prés). L’inno glossato a sant’Agata riprodotto qui in appendice rivela sia il contenuto glossologico proprio del codice bresciano che i suoi legami con altri innari glossati continentali. Nel codice Vaticano Chigi C.VI.177 (abbazia di Farfa, seconda metà del sec. XI), Martyris ecce dies Agathe è meno glossato, ma reca alcune delle glosse trascritte nel codice bresciano (Città del Vaticano, Chigi C.VI.177, f. 130r-v: decens: nobilis; elegans: pulchra-, flabris: flagella; pattilo: aperte; ouans: gaudens; polo: celo; ethnica: pagana-, rogum: ignem; huius: Agathe). Inoltre, alcune delle glosse bresciane per questo inno si incontrano in altri innari glossati continentali dell’undicesimo secolo, nel contesto di altri inni: Cucurrit: sustinuit (Parigi, BNF lat. 11550, f. 283v); ouans: gaudens (Parigi, BNF lat. 11550, f. 253r; BAV Vat. lat. 7172, f. 17v); renitens: splendens (BAV Rossi 205, f. 8v). La grande quantità di glosse a questo inno suggerisce che sant’Agata aveva una importanza speciale per le monache di Santa Giulia di Brescia; fino ad ora non si sono però trovati indizi particolari di suo culto nel monastero di Santa Giulia. In questa sede si può proporre come ipotesi che sant’Agata, vergine martire di origine nobile, era un ottimo modello di sacrificio per le monache, e quindi che l’inno in suo onore aveva la duplice funzione didattica di presentare un esempio spirituale alle monache aristocratiche e allo stesso tempo di insegnare la lingua latina, tramite il suo lessico talvolta arcano e la sua sintassi poetica. È soprattutto attraverso le glosse che possiamo capire l’importanza dell’inno per la comunità di Santa Giulia.

Le glosse del codice bresciano sono soprattutto lessicali, una categoria che comprende non solo il semplice sinonimo (decorat: omat), ma anche l’uso di un vocabolo più generale come equivalente per uno più preciso, un sinonimo più semplice per una parola poetica (latex: aqua); il chiarimento di una metonimia o di un uso figurato (polo: celo); e l’etimologia (cyrografo: Kyros grece, latine manus. Grafia descriptio; hic cirografum manus descriptio (f. 50r). Le glosse lessicali spesso forniscono definizioni di parole (e. g. ineffabiliter: quod dici non potesf, nauta: nauta est qui nauem ducif, pastor: qui pascit creator: qui facit omnia (f. 4Ir).) oppure offrono una scelta di vari sinonimi, probabilmente per facilitare l’insegnamento del lessico (e. g. fatescat: deficiat, resoluatur, uel facem desideret (f. 35v); presul: pastor, defensor, uel custos (f. 26v). Un altro scopo importante delle glosse lessicali è la definizione di un campo semantico più preciso di quello suggerito nell’inno (e. g. spiculo: radio, spiculum id est proprie sagitta (f. 34r).

Le glosse dette grammaticali precisano il referente di un pronome (hunc: Chrìstum) o di un aggettivo (primo: die) oppure mostrano il significato di un ablativo, tale quo: in; quo: ut. Glosse sul verbo possono classificarsi come grammaticali-sintattiche, tale la spiegazione del passivo (saluari: esse salui), oppure il chiarimento di un significato fornendo l’infinito (nell’inno Primo dierum omnium, la frase: et nocte queramus pium sicut prophetam nouimus viene chiarita con l’aggiunta dall’infinitivo quesisse (f. 20r).). La maggior parte delle glosse nel manoscritto bresciano sono lessicali o grammaticali, con poche glosse sintattiche. Alcune glosse però potrebbero classificarsi come sintattiche almeno in parte, perché presentano parafrasi che chiariscono la struttura della strofa. In altri casi, una glossa grammaticale ha pure una funzione sintattica perché spiega il rapporto tra due parti della frase (e. g. nella frase secunda spes congaudeat quo maior extet caritas, il pronome quo potrebbe intendersi in relazione all’aggettivo comparativo maior (con caso maschile errato, riferendosi a spes) ma la glossa ut uel quia dimostra che quo significa il fine (f. 36v).

Le glosse piuttosto lunghe, spesso copiate nel margine, sono parafrasi di espressioni o di strofe con informazione lessicale oppure una spiegazione più ampia di terminologia teologica. Un esempio di una glossa marginale è un commento alla seconda strofa di Splendor paterne gloriae che fornisce molteplici sinonimi in una parafrasi parziale: Verusque sol illabere/micans nitore per- peti: id est infunde et inmitte te in cordibus tu qui es uerus sol et micans splendens perpetim perpetuo nitore candore. Una glossa che precede l’inno Ales diei nuntius presenta un riassunto del contenuto teologico-dottrinale, nello stile di un accessus: Id est gallus qui diem canendo annuntiat Christum conuenienter desi- gnat qui mentes omnium ab infidelitatis errore uocans ad uitam ueramque lucem excitat. Le glosse dottrinali nel manoscritto bresciano comprendono infatti non solo brevi annotazioni interlineari (e. g. flagratisi ardetis in amore Dei (f. 46v); lucis: angelorum uel diei (f. 25r); aurora: id est Christum adire (f. 28r), ma anche riflessioni più estese su concetti teologici (Fidei titulus: Quia nos fidei credulitate habemus renati in Christo ex aqua et spiritu sancto. Hic est titulus fidei (f. 46v) e perfino l’umorismo a proposito di un concetto teologico, la sobria ebrietas (Ebrietas: Briax genus uasi aptum congaudet ad bibendum / mihi ebrietas nimia potatio hic autem ebrietas plenitudinem sancti spiritus significat (f. 28v; si riferisce all’idea della sobria ebrietas nell’inno di sant’Ambrogio, Splendor paterne gloriae). Sulla preistoria di questa idea, vedi H. Lewy, 1929.). Talvolta si può dedurre un malinteso del significato del lemma, come karisma: unctio, che rivela che il glossatore ha scambiato karisma con chrisma. Ancora altre glosse sembrano accennare alla lingua volgare (mucro: spata; ora: bucca) pur essendo vocaboli che esistevano nella lingua latina tardiva. Dato che il libro apparteneva ad un monastero femminile, è probabile che l’uso del volgare, importante nelle comunità religiose femminili nel Medio Evo, si spieghi con il contesto del manoscritto. La presenza del volgare non esclude però glosse più astratte o complesse, che pure compaiono nel codice bresciano. In questa categoria sono particolarmente frequenti le glosse che presentano un’interpretazione figurata del lemma, e.g. tenebre: male cogitationes; somnum: peccatum.

Interessante e molto rara (forse unica) è la ripetizione, all’interno di un singolo manoscritto, di un stesso brano di inno con glosse diverse. Accade nel codice bresciano con la ripresa di tre strofe dell’inno A solis ortus cardine per l’inizio della sua divisio, Enixa est puerpera (testo delle tre strofe: Enixa est puerpera / quem Gabriel predixerat / quem matris aluo gestiens / clausus lohannes senserat. //Feno iacere pertulit / presepe non abhorruit / paruoque lacte pastus est / per quem nec ales esurit.//Gaudet chorus celestium / et angeli canunt Domino / palamque fit pastoribus / pastor creator omnium). Il riscontro delle due versioni di queste tre strofe rivela differenze significative nelle glosse. Nella prima strofa, Enixa est puerpera, non risultano differenze. Nella strofa Foeno iacere un verbo viene scritto e glossato in due modi diversi: prima, aborruit: odiit, poi abhorruit: odio habuit. E possibile, se non dimostrabile in assoluto, che l’ortografia con l’h nella ripresa della strofa abbia ispirato la seconda interpretazione. Le glosse della strofa Gaudet chorus celestium dimostrano molte varianti, alcune di sostanza lessicali, altre rivelano un approccio diverso al lessico. Chorus viene glossato con conuentus e poi agmen; palamque fit viene glossato con ostendatur e poi manifestus, ostensius fuit. Mentre celestium, pastor e creator non recano glosse la prima volta, alla ripresa della strofa sono glossati: angelorum, qui pascit, qui facit omnia. Oltre queste varianti di ordine lessicale, un’aggiunta di tipo grammaticale, coram, viene inserita prima del lemma pastoribus per chiarire l’uso dell’ablativo pastoribus nella base palamque fit pastoribus. Le differenze tra le glosse delle due versioni delle strofe testimoniano diverse maniere di spiegare l’inno.

Benché la tipologia qui delineata suggerisca che le glosse del codice bresciano adempiono uno scopo pedagogico, la funzione didattica delle glosse nei manoscritti dell’undicesimo secolo in generale è ancora discussa dagli studiosi. Nella sua analisi di glosse nel famoso manoscritto delle ‘Cambridge Songs’ Gemot Wieland stabilisce una tipologia di glosse come specchio della pedagogia grammaticale (G. Wieland, 1983). Anche se la proposta di Wieland di interpretare glosse come materiale pedagogico diretto dall’aula di classe viene contestata da Michael Lapidge, che vede molte glosse invece come appunti o note per la lettura privata (M. Lapidge, 1982)), la tipologia di Wieland rimane un riferimento fondamentale per la classificazione di glosse latine. Wieland ha inoltre proposto una serie di caratteristiche che possono identificare libri che sono serviti per l’insegnamento: tali libri devono comprendere glosse dall’inizio alla fine del testo, riferendosi a tutte le categorie comprese in una lezione di grammatica medievale: prosodia, lessico, grammatica, sintassi e contenuto; indicazioni di lettura ad alta voce (G. Wieland, 1985). Se queste categorie non vengono riunite in uno stesso manoscritto, si può dedurre (sempre secondo Wieland) che il manoscritto non ha avuto un uso pedagogico, ma è servito invece per la lettura privata.

Tuttavia, i testi puramente letterari nei manoscritti trattati da Wieland e Lapidge, per quanto riguarda la trasmissione, la ricezione e la funzione, sono del tutto diversi dagli inni in un libro di canto liturgico. Un libro liturgico serviva per forza di riferimento per il cantor o Yarmarius, che era spesso anche il maestro di canto. Un tale strumento di lavoro era difficilmente disponibile per la lettura privata, tranne il prestito ad allievi oblati che stavano imparando i canti liturgici, accennato dalle consuetudines dei secoli undicesimo e dodicesimo (Liber ordinis S. Victoris Parisiensis, ed. L. Jocqué e L. Milis, Tumhout, 1984 (C. C. c. m., 61), pp. 107, 146; Consuetudines fructuarienses-Sanblasianae, ed. L. G. Spàtling e P. Din- ter, Siegburg, 1987 (Corpus consuetudinum monasticarum, XII), chap. 1.21; 2.165.). Le glosse degli inni hanno quindi la funzione pedagogica di aiutare i maestri ad insegnare ai principianti il linguaggio degli inni, che con la sintassi e lessico di poesia sono molto più difficili che i Salmi ed i Cantici, altri testi che gli allievi monastici dovevano imparare a memoria. Le prime prescrizioni per far imparare questi testi a memoria si leggono negli Actuum praeliminarium synodi primae Aquisgranensis commentationes sive Statuta Murbacensia (816), in Consuetudines Saeculi Odavi et Noni, ed. J. Semmler, Siegburg, 1963 (Corpus consuetudinum monasticarum, I), p. 442.

I manoscritti bresciani (*)

Se vogliamo ora inserire il nostro breviario nel panorama dei manoscritti bresciani dell’epoca, prenderemo innanzitutto in considerazione i manoscritti prodotti dallo stesso monastero. Purtroppo non sono molti i codici riconducibili al cenobio femminile: oltre al Queriniano H VI 21, conosciamo il già citato codice necrologico liturgico (Queriniano G VI 7, cfr. sopra), che nel suo corpo principale risale al sec. IX, ma è poi stato ‘continuato’ fino al sec. XIV, quindi un Rituale del 1438 (Queriniano H VI 11). Dal punto di vista cronologico non è possibile dunque istituire utili confronti, ad eccezione forse per un foglio del codice necrologico liturgico che reca un responsorio per il venerdì santo (Multa egerunt ludei) con notazione musicale, risalente al sec. XII (M. T. Rosa Barezzani, ….). La notazione è inclinata, incerta, disordinata e rivela poche affinità con quella di un altro importante codice bresciano, il Bodleiano Canon. Lit. 366. Questo codice rappresenta forse il più pertinente termine di confronto per il breviario H VI 21. Il graduale-breviario di Oxford infatti, sebbene più tardo (risale ai primi anni del sec. XII), fu quasi certamente scritto per i canonici della cappella di S. Daniele, chiesa pubblica che officiava il culto per il monastero di S. Giulia.

Dal punto di vista grafico il codice bresciano più prossimo al Queriniano H VI 21 è un graduale conservato nella Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo (MA 239).

Graduale dominicale e dei santi, mutilo all’inizio: va dal sabato dei Tempora d’Avvento alla domenica De Trinitate. Membr., ff. III, 136, I’-IX’ (i ff. I’-VI’ provengono da un graduale del sec. XII); fase. 1-178; inizio fascicolo lato pelo; segnatura dei fascicoli con lettera alfabetica al centro del margine inferiore; mm. 257 x 177 = 17 [200] 40 x 12/5 [114] 5/42; rr. 11; rigatura a secco a fascicolo chiuso: ><>< I ><><; lato pelo-lato carne molto diversi; lisières. Legatura moderna di restauro. A f. Ir Questo libro è fatto avanti l’anno di nostro Signore DCCC. Si tenga bene custodito perché è un libro rarissimo (sec. XVIII). A f. 6’v, lungo il margine interno, è scritta la data 1568, la stessa mano appone lungo il margine interno di f. l’v la scritta Iudicis Novioriis. Bibl.: Gregoire, Repertorium liturgicum italicum cit., p. 463; K. Gamber, Codices latini liturgici antiquiores. Secunda editio aucta, Freiburg Schweiz, 1968 (Spicile- gii Friburgensis Subsidia, 1), p. 510; J. Drumbl, Gli improperi del Venerdì santo nei manoscritti liturgici italiani, in Bergomum, 45 (1971), pp. 76-95; G. Zizzo, Scheda del manoscritto, in Codici e incunaboli miniati della Biblioteca Civica di Bergamo, a cura di M. L. Gatti-Perer, Bergamo, 1989, p. 23.

Nel santorale di MA 239 sono presenti i santi Faustino e Giovita, Filastrio (soprascritto in rosso su s. Apollinare) e sono sottolineate le feste relative a s. Benedetto: sembra probabile che sia stato allestito per una comunità monastica bresciana (S. Giulia, S. Benedetto di Leno, S. Eufemia). L’origine bresciana pare dunque non doversi mettere in dubbio, non solo per la presenza di s. Filastrio, ma anche per la coincidenza dei testi musicali con altri analoghi manoscritti bresciani quali il Bodleiano Canon. Lit. 366 e il graduale MA 155 della Biblioteca civica di Bergamo. In particolare Iohann Drumbl ha studiato questi tre manoscritti in relazione alla presenza di alcuni testi per la celebrazione del Venerdì Santo, i canti per l’adorazione della croce conosciuti come «Improperi», che testimoniano una tradizione settentrionale in una variante locale. Secondo questo studio tra i manoscritti bresciani non ce una perfetta uniformità: il graduale MA 239 sembra riflettere una tradizione leggermente diversa, influenzata musicalmente da tradizioni dell’Italia centrale. Per motivi paleografici il manoscritto viene datato alla seconda metà del sec. XI, pertanto il divario cronologico con il breviario di S. Giulia resta ampio: in comune è rimasta ormai solo la forte inclinazione verso destra che nel codice di Bergamo caratterizza il primo copista (ff. lr-96v).

Lo stato attuale delle nostre conoscenze di manoscritti bresciani non ci permette dunque di instaurare precisi confronti tra il codice di S. Giulia Queriniano H VI 21 e altri manoscritti coevi di uguale origine, dell’esistenza dei quali non siamo a conoscenza. Possiamo solo collocare il codice all’intemo di un più ampio contesto cronologico, che abbraccia i secoli XI e XII, e cercare di ricavare da questa testimonianza elementi che permettano la ricostruzione storica di un ambiente monastico femminile, quindi del panorama religioso e culturale della città di Brescia in questo periodo.

APPENDICE

Inno per S. Agata con glosse interlineari e marginali (ms H VI 21, f. 46v)

Martyris ecce dies Agathe

uirginis emicat (‘) eximie (2)

qua (3) filii Christus eam sociat

et diadema (4) duplex (5) decorat (6).

Stirpe (7) decens (8) elegans (9) facie,

sed magis (10) actibus (“) atque fide

terrea (12) prospera (13) nil reputans (14)

iussa (ls) Dei sibi corde ligans (16).

Forcior (17) hec (18) trucibusque (19) uiris

exposuit (20) sua membra flagris (2I)

pectore (22) quam fuerat ualido;

torta (23) mamilla docet (24) patulo (25).

Delicie (26) cui carcererat

pastor ouem (27) Petrus hanc recreat (28)

inde gauisa (29) magisque (30) flagrans (31)

cuncta flagella cucurrit (32) ouans (33)

Iam (34) renitens (35) quasi sponsa polo (36)

pro miseris (37) supplicet Domino

sic sua festa coli (38) faciat

se celebrantibus ut faueant (39).

Ethnica (40) turba rogum (41) fugiens

huius (42) et ipsa (43) meretur opem (44)

quos fidei titulus (45) decorat (46)

his (47) uenerem (48) magis (49) ergo promat (50).

(l)splendet (2) gloriose (3) die (4) corona (5) uirginitatis et martyrii (6) ornat (7) progenie (8) nobilis (9) pulchra uel speciosa (10) plus (11)operibus (12) terrena (13) prosperitatem (14) esse (15)precepta (16) id est in mente retinens uel constringens (17) id est fortis (18)Agatha (19) crudelibus (20) dedit (21) flagello (22) mente et almo (23) a carnificibus (24) manifestai (25) aperte (26) delectationes (27) ipsam (28) ouem uoceat uel confortat (29) leta (30) plus (31) ardens in amore Dei (32) sustinuit quasi currendo (33) gaudens (34) modo (35) splendens (36) celo (37) nobis pec- catoribus (38) celebrati (39) Auxilium det, id est adiuuet nos apud Deum. (40) gentilis uel paganias (41) ignem (42) Hagathe (43) turba gentilium uel paga- norum (44) adiutorium (45) Quia nos fidei credulitate habemus renati in Christo ex aqua et spiritu sancto. Hic est titulus fidei. (46) ornat (47) nobis (48) libidinem uel desiderium camis (49) plus (50) comprimat uel mortificet

SUSAN BOYNTON e MARTINA PANTAROTTO*, Ricerche sul breviario di Santa Giulia: Brescia, Biblioteca Queriniana, ms H VI 21, in: Studi medievali, 1928. A. 42 (2001) .

* M. Pantarotto ha curato la parte sul Monastero di S. Giulia, quella sull’origine del manoscritto, la descrizione esterna e l’analisi paleografica del codice e i cenni sugli altri manoscritti bresciani; a S. Boynton si devono la descrizione interna del ms, l’analisi della tipologia, della notazione musicale e delle glosse, nonché l’edizione, in appendice, delle glosse all’inno di S. Agata. I manoscritti bresciani dei secc. XI-XII sono oggetto della Tesi di dottorato in paleografia di Martina Pantarotto: le notizie offerte in queste pagine sono estratte dalla ricerca condotta su 40 manoscritti d’origine bresciana.

Bibliografia

Codice necrologico-liturgico del monastero di S. Salvatore o S. Giulia di Brescia, a cura di C. Valentini, Brescia, 1887, da ultimo si veda H. Becher, Das koenigliche frauenkloster S. Salvatore / S. Giulia in Brescia in Spiegel seiner Memorialueberliefcrung, in Fruehmittelalterliche Studien, 17 (1983), pp. 298-392.

P. F. Kehr, Regesta Pontificum Romanorum. Italia pontificia, VI/1 : Lombardia, Berlino, 1913, p. 324, ma l’autenticità del documento è contestata, si veda M. Bettelli Bergamaschi, A proposito del privilegium di Paolo I per il monastero bresciano di S. Salvatore (sec. VIII), in Nuova Rivista Storica, LXVII (1983), pp. 119-137 e LXVIII (1984), pp. 141-173.

H. Lewy, Sobria ebrietas, Giessen, 1929.

B. Stàblein, Hymnen: Die Mittelalterlichen Hymnenmelodien des Abendlandes, Kassel, 1956 (Monumenta Monodica Medii Aevi, 1), p. 88.

P. M. Gy, Collectaire, rituel, processionai, in Revue des Sciences philosophiques et théo- logiques, XLIV (1960), pp. 440-469: p. 452.

R. Gregoire, Repertorium liturgicum Italicum, in Studi Medievali, s. Ili, 9 (1968), pp. 463-592: p. 488.

G. Pasquali, in Inventari altomedioevali di terre, coloni e redditi (secc. IX-X), a cura di A. Castagnetti, G. Pasquali, M. Luzzati, A. Vasina, Roma, 1978 (Fonti per la storia d’Italia, 104), pp. 41-94.

A. Masetti Zannini, S. Giulia di Brescia, in Monasteri benedettini in Lombardia, a cura di G. Picasso, Milano, 1980, pp. 123-137.

M. T. Rosa Barezzani, La notazione neumatica di un codice bresciano, Cremona, 1981.

M. Lapidge, The Study of Latin Texts in late Anglo-Saxon England: the Evidence of Latin Glosses, in Latin and the Vemacular Languages in Early Medieval Britain, ed. N. Brooks, Leicester, 1982, pp. 99-140.

G. Wieland, The Latin Glosses on Arator and Prudentius in Cambridge University Library MS Gg.5.35, Toronto, 1983 (Studies and Texts 61). Per una prima proposta del codice di Cambridge come testo scolastico, vedi A. G. Rigg e G. Wieland, A Canterbury Classbook of the Mid-Eleventh Century (the ‘Cambridge Songs’ Manuscript), in Anglo-Saxon England, 4 (1975), pp. 113-130.

G. Wieland, The Glossed Manuscript: Classbook or Library Book?, in Anglo-Saxon England, 14 (1985), pp. 153-174. Il contributo più recente di Wieland a questo soggetto è Interpreting the Interpretation: The Polysemy of thè Latin Gloss, in The Journal of Medieval Latin, 8 (1998), pp. 59-71.

R. Navarrini (1991), Istituzioni e lotte politiche: il comitato bresciano tra XI e XIII secolo, in Arnaldo da Brescia e il suo tempo, a cura di M. Pegrari, Brescia, 1991, pp. 81-117.

G. Andenna, Il monastero e l’evoluzione urbana di Brescia tra XI e XII secolo, in S. Giulia di Brescia. Archeologia, arte, storia di un monastero regio dai Longobardi al Barbarossa. Atti del convegno, a cura di C. Stella e G. Brentegani, Brescia, 1992, pp. 93-118.

Zanini, S. Giulia di Brescia cit. e I. Bonini Valetti, La Chiesa bresciana dalle origini agli inizi del dominio veneziano: istituzioni e strutture, in Diocesi di Brescia, a cura di A. Caprioli – A. Rimoldi – L. Vaccaro, Brescia, Gazzada, 1992, pp. 17-63.

M. L. Gatti Perer, Testimonianze della cultura cluniacense nel bresciano, in Medioevo monastico nel bresciano: da Cluny alla Franciacorta. Appunti di storia e storiografia, a cura di M. Bettelli Bergamaschi, Brescia, 1995, pp. 167-178.

M. Bettelli Bergamaschi, Il monastero di S. Salvatore-S. Giulia di Brescia. Dalle origini alla soppressione: momenti e figure di una lunga storia, in Civiltà Bresciana, V/3 (1996), pp. 41-57.

S. Boynton, Glossed Hymns in Eleventh-Century Continental Hymnaries, Ph. D. dissertation, Brandeis University, 1997.

F. Menant, Le monastère de S. Giulia et le monde féodal. Premiers éléments d’infortnation et persepectives de recherche, in S. Giulia di Brescia. Archeologia cit., pp. 119-129).

M. T. Rosa Barezzani, Una pagina con notazione neumatica nel codice necrologico liturgico di S. Salvatore o S. Giulia (sec. IX), in S. Giulia di Brescia. Archeologia cit., pp. 165- 185. Il responsorio compare nel rituale di S. Giulia del sec. XV.

 

900 Salterio – Collettario ad uso monastico. Ms. H.VI.21

Sec. X. Italia settentrionale: Brescia. Membranaceo; mm 316×246 (245×201); ff. III, 51, I’; numerazione recente a penna, nell’angolo superiore destro. Testo su due colonne, 28 linee. Fascicolatura: 1-2/2 3-7/8 8/7, lato pelo all’esterno, rigatura a secco. Scrittura carolina, di una sola mano. Al f 19rv alcune orazioni per la Quaresima e l’Avvento, trascritte da mano del sec. XII. Notazione musicale, di due diverse mani e caratteristiche. Ornamentazione: due iniziali decorate a tralci ed elementi zoomorfi; altre iniziali semplici a inchiostro rosso. Legatura moderna di restauro in assi di legno ricoperte in pelle marrone, piccole borchie metalliche. Molti ff. sono stati restaurati. A f. 1r: «Sulla vecchia copertina in cartone una mano del sec. XIX aveva scritto ”Antico rituale per uso delle monache del monastero di S. Giulia”», di mano del sec. XX. Nota ai ff. 11v e 14r: «Dominus Albertus», di mano del sec. XIII. Molti elementi permettono di situare nell’area bresciana l’origine di questo codice: un riferimento alle reliquie della chiesa di S. Giovanni de intus e alla badessa Rolinda, che resse il monastero di S. Salvatore-S. Giulia nel primo quarto del sec. XI (f. 19r: «In ecclesia que domina Rolinda abbatissa in honore sancti Iohannis euangeliste fundauit continentur horum sanctorum reliquie … »), nonché una certa insistenza, nelle litaniae, sui santi bresciani (Apollonio, Filastrio, Ursicino, Giulia,
Faustino e Giovita). Il codice forse appartenne alla Biblioteca Capitolare del Duomo di Brescia e potrebbe essere identificato in una delle citazioni del catalogo Gradenigo (la n. 26); venne acquisito dalla Biblioteca Queriniana probabilmente nel 1797·
ff. 1r-4v: Libro dei Salmi. Inc.: «[mutilo] et in conspectum … ». Expl.: « … omnis spiritus laudet Dominum. Explicit psalterium, psalmus CL». Segue: «Oracio fìnito psalterio». Contiene: Ps. 137-150, 151 del salterio romano.
ff. 5r-9v: Inni e cantici. Contiene gli inni: «Sumpsit Maria triumphans et dixit» (f. 5r), «Canticum Moysi hominis Dei» (f. 6r), «Hymnum in diebus dominicis» (f. 7v), «Canticum Zacharie prophete» (f. 8r), «Fides catholica Sancti Athanasii episcopi» (f. 8v), «Canticum Sancte Marie» (f. 9r), «Canticum Sancti Symeonis prophete» (f. 9v), «In die dominico ad missam» (f. 9v).
ff. 10r-19r: PRUDENTIUS TRECENSIS, Flores psalmorum. Titolo: «lncipiunt orationes super psalterium». Inc.: «Domine Ihesu Christe rex altissimi fìlius fac me . .. ». Expl.: « … Tibi laus tibi honor tibi Domino gloria … ».
f. 19 rv: Orazioni per la Quaresima e le domeniche d’Avvento (sec. XII). Contiene: «Ex more docti mystico», «Summe largitor premii», «Aureas ad nostra deitatis preces», «Clarum decus ieiunii», «lhesu redemptor seculi».
ff. 20r-51v: Collettario (ff. 2or-28v), Litaniae (ff 29r-3or), Capitolario (ff. 3ov-51r). Inc.: «Primo dierum omnium quo mundus extat conditus … ». Expl.: « … defensionis auxilium [mutilo]». Contiene tre inni con notazione musicale: «Aeterne rerum conditor» (f. 23r), «Iam lucis orto sydere» (f. 46v), «Martyris dies ecce Agathe» (f. 46v).

Bibliografia: Gradenigo 1755, p. 440, n. 26; Sakramemarrypen 1958, p. 153, nota 5; Gy 196o, p. 452; Gamber 1963, n. 1515; Grégoire 1968, p. 488; Baroffio 1999, p. 37; Pantarotto 1999, pp. 175-177, 281-282; Boynron – Pamarorro 2001; pp. 301-318; Gavinelli 2001, p. 129; Pergamena 2004, p. 61, n . 13.

da FERRAGLIO ENNIO, Manoscritti della Biblioteca Queriniana, I, (Secc. V-XIV), Annali Queriniani, Monografie – 12, Compagnia della Stampa, 2010.

 

900 Salterio – Collettario. BQBs Ms. H.VI.21

Salterio-Collettario. BQBs. H. VI. 21.
Sec. X-XI; membranaceo, ff IV (cartacei moderni, di cui I incollato al piatto anteriore della legatura) – 51 – III (cartacei moderni di cui III incollato al piatto posteriore della legatura), numerati nel sec. XIX in cifre arabe a inchiostro nel margine superiore destro; 320×245 mm (250×130), linee 28 su due colonne. Fascicoli: ½, 2/2, 3-7/8, 8/7(8-8), con lato pelo esterno, privi di numerazione e parola di richiamo. Rigatura a secco, impressa a due bifogli alla volta. Rubriche, talora riempite di giallo, in inchiostro rosso e rosso aranciato dal f. 29r, eseguite in maiuscola mista, con inserzione di lettere minuscole. Diverse iniziali di piccole dimensioni, talora toccate di giallo, semplicemente rubricate o decorate, con intrecci geometrici e tralci vegetali e a scarso sviluppo cromatico, limitato ai toni del rosso, giallo ocra e bruno. Più grandi le iniziali ai ff. 10r (D), a tralci vegetali profilali di rosso, su pergamena risparmiata, e interstizi in verde brillante; f. 20r (P), tracciata solo a penna, ma elegantemente compenetrata dalle movenze spiraliformi dei tralci, con protomi zoomorfe e con un drago che addenta l’asta verticale della lettera. Una recente annotazione a matita sul f. IIr avverte che, sulla vecchia copertina in cartone, una mano del sec. XIX aveva indicato: «Antico rituale per uso delle monache del monastero di S. Giulia. Trattasi invece di Breviario dell’Ufficio Divino (Colectario)». Legatura moderna di restauro, in cuoio marrone impresso a cornici geometriche.

Il Salterio-Collettario, ora mutilo e fortemente compromesso dall’umidità, nonostante il pesante restauro, fu trascritto in minuscola non particolarmente calligrafica, da un unico copista attivo negli anni intorno al Mille per il monastero bresciano di S. Salvatore-Santa Giulia. Con riduzione del modulo grafico nelle sezioni musicate, riunisce la parte conclusiva di un Salterio liturgico abbreviato (Salmi 137- 151), Cantica e Orationes super psalterium, e un Collettario-capitolario diurnale, con antifone e inni corredati nel sec. XI-XII da notazione neumatica adiastemaliea di due mani diverse (ff. 23r-v e 46v). Interessante la frequente presenza di glosse interlineari sugli inni. Numerose glosse interlineari e marginali coeve di carattere lessicale e grammaticale. Intervento di un copista posteriore del sec. XI-XII al f. 19r-v.
L’origine locale è confermata ai ff. 29r-30r dall’attestazione nelle litanie dei santi bresciani Faustino e Giovita, Filastrio, Ursicino, Apollonio e soprattutto da s. Giulia, insieme a «sancta Sophia, sancta Pistis. sancta Elpis, sancta Agate (sic), sancta Concordia», le cui reliquie erano conservate con particolare devozione nella cripta della chiesa monastica. Un ulteriore riferimento interno è dato dall’aggiunta della prima metà sec. XI (f. 19r), in cui si menzionano i meriti della badessa Rolinda (1014-1028), fondatrice della cappella di S. Giovanni evangelista all’interno del monastero, e un elenco di reliquie. Nel margine inferiore del f. 14v, di mano del sec. XII-XIV «domini Alberti Albricii», nello stesso inchiostro di uno schizzo antropomorfo collocato nella parte inferiore del f. 34r. L’ingresso alla Biblioteca Querimana avvenne con la soppressione degli ordini religiosi che nel 1798 interessò anche il monastero di Santa Giulia.

Bibliografia: GAMBER, p. 552 n. 1513; BAROFFIO, p. 37; BOYNTON-PANTAROTTO, 2001, pp. 304-18; GAVINELLI, 2001, p. 129.

SIMONA GAVINELLI, in AA.VV., Dalla Pergamena al Monitor, I Tesori della Biblioteca Queriniana, La stampa, il libro elettronico. Editrice La Scuola, 2004.