Storia della Scrittura e della lettura nelle civiltà del bacino del Mediterraneo

In  questa parte del sito MISINTA intendiamo raccogliere illustrazioni e descrizioni di scritture e lettori nel corso dei secoli.

E’ un work in progress per cui è gradita la collaborazione di chiunque voglia indicare o inviare immagini e testi sull’argomento. Si raccomanda di aggiungere l’indicazione bibliografica e la didascalia.

CENNI SULLA NASCITA DELLA SCRITTURA E SULLA FORMAZIONE DEGLI ALFABETI MEDITERRANEI

(Solo alcune brevi note di Bignetti Edoardo, senza alcuna pretesa)

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(Rif.- Atti dei convegni tenuti a Cavriana in Villa Mirra c/o Museo archeologico, dal 12/09 al 25 /10/1992 ; tema:” L’Arte della Scrittura”; cura prof. Piccoli e prof. Zannini,

-Atti del convegno tenuto c/o Archaologisches landesmuseum di Ulm, nel 2016

-Atti dal convegno sulla città di Ebla e la sua storia, tenuto dal prof. Mattiae e suoi collaboratori a Roma nel 1987 )

Introduzione

Ora sta compiendosi il quinto millennio dell’avvenimento che ha soddisfatto questa necessità e che rappresenta una delle più importanti acquisizioni dell’umanità, la scoperta della scrittura.

Questa realizzazione, che ha determinato una svolta fondamentale nella storia dei rapporti tra i popoli, fu merito delle popolazioni sumere i cui scribi, proprio 4900 anni or sono, producevano tavolette di terracotta recanti impressi pittogrammi corrispondenti alla registrazione delle loro attività commerciali. Uno di essi ci ha tramandato uno scritto che testimonia quanto fossero coscienti dell’importanza della loro invenzione:

<< L’arte della scrittura è la madre degli oratori, il padre dei maestri,
l’arte della scrittura è appassionante e non ti sazia mai,
l’arte della scrittura è difficile da imparare,
ma colui che l’ha appresa avrà il mondo in mano…>>
(Da una tavoletta sumera)

Non è certo possibile condensare la storia della scrittura in poche righe, ma può essere interessante ricordare i momenti fondamentali della nascita del nostro alfabeto ed i vari processi che attraversò la sua definizione. L’uomo ha avvertito fin dalle origini il bisogno di comunicare con i propri simili e di memorizzare in modo duraturo dati e concetti della vita quotidiana. Già nei siti abitati in epoca paleolitica si trovano manufatti destinati a questa funzione frammenti dosso con serie di linee incise di incerta interpretazione, che potrebbero aver significato giorni di caccia, distanze, capi uccisi, lune o chissà quant’altro. Alcune delle splendide raffigurazioni e incisioni diffuse del paleolitico superiore, oltre che esprimere un maturo senso artistico, possono essere intesi anche come primi esempi di comunicazione grafica figurata.

Origini della scrittura nel Paleolitico? Homo sapiens, homo scriptor

Andiamo a vedere quali sono i sistemi di scrittura più arcaici attualmente conosciuti. Due di essi, preistorici, sono ancora discussi. Uno proviene dalla Cina settentrionale. Si colloca nella cultura neolitica Peiligang che risale al 5600-4900 a.C. Resti della cultura Peiligang furono scoperti nel 1977 nella provincia di Henan: utensili di pietra e di argilla dalle forme eleganti ed essenziali. Le genti appartenenti a questa cultura praticavano l’agricoltura e l’allevamento di bestiame che venivano integrati da caccia, pesca e raccolta. Altri studiosi, invece, interpretano le incisioni cinesi come segni di riconoscimento impressi dai vasai, oggi diremmo: dei marchi di fabbrica.

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Diversa è la situazione con le tavolette rumene di Tartaria, (Romania), quelle bulgare di Gradesnica e i segni della cultura Vinca che appaiono su numerosi artefatti dei Balcani. Siamo ancora nel Neolitico. Le tavolette di Tartaria, scoperte nel 1961 in un villaggio presso Alba Julia, risalgono circa al 5300 a.C. Rappresentano per alcuni studiosi un sistema di scrittura della Cultura del Danubio (detta anche della Vecchia Europa). In questo caso possiamo dire che i segni sono più di 200 e le incisioni che li riportano più di 1500.  Il sistema di scrittura danubiano avrebbe ispirato la scrittura cretese lineare A del 2500 a.C. Questo sostiene Haarmann, che riconosce evidenti paralleli grafici fra i due sistemi.

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Göbekli Tepe

Dunque già queste forme di scrittura, se realmente tali, avrebbero preceduto di millenni il sistema sumero e anche quello egizio che finora sono sempre stati considerati i più antichi del mondo. Ma c’è un elemento fondamentale che differenzia la “scrittura” della cultura danubiana da quella sumera ed egizia: mentre la forma più arcaica delle seconde fu quella ideografica, la scrittura danubiana presenta segni astratti sin dall’inizio. Non vi appaiono figure, niente raffigurazioni schematiche di occhi, mani, oppure animali, ma piuttosto spirali, punti, aste e meandri. Manca la fase ideografica. Anche tale fattore porta gli studiosi più restii a non voler riconoscere nei segni danubiani le origini della scrittura. E che cos’è poi la scrittura? Un mezzo di comunicazione, uno strumento per esprimere informazioni pratiche, pensieri astratti. Ma questo obiettivo può essere raggiunto anche tramite simboli che non facciano parte di un vero e proprio sistema. Forse dovremmo liberarci dagli schemi cui siamo abituati e aprirci ad altre possibilità. Sì, perché poi c’è l’enigma di Göbekli Tepe, dei siti mesolitici dell’Anatolia. Qui si retrocede nel tempo, parliamo di segni e immagini che risalgono a ben 12.000 anni fa. Un enigma che si colloca cronologicamente fra la Vecchia Europa e il Paleolitico. Fra gli agricoltori e allevatori di bestiame che si stabilivano nelle aree situate lungo le rive del Danubio e nei Balcani, e i cacciatori raccoglitori che dipinsero la roccia nelle caverne ibero-francesi.  Nell’anno 2011 in primavera ho avuto personalmente la fortuna di visitare il sito, mentre sotto la supervisione del prof. Schmidt, la scuola archeologica di Berlino era in fase di scavo nei vari luoghi, identificati da poco. Göbekli Tepe è un sito che si trova in Turchia meridionale, nei pressi della città di Sanliurfa. a pochi chilometri dal teatro di       guerra dell’Isis. Ultimo tra i grandi ritrovamenti archeologici, in poco tempo ha completamente rivoluzionato l’archeologia classica. Perché è un paradosso temporale che non dovrebbe esistere, e che molti vorrebbero non fosse stato mai scoperto. Rivelatosi più antico di Stonehenge, delle Piramidi di Giza e della Sfinge, è stato datato a 11000 / 12000 anni fa. E’ stata per me un’esperienza a dir poco unica. Per chi volesse approfondire il tema consiglio di leggere (mi sarebbe risultato difficile parlare non bene di un’opera di un uomo della levatura di Schmidt. E non ne è proprio necessario nemmeno in questo volume che, a mio modesto parere, è ben comprensibile anche per chi non è specialista e che riesce a costruire in maniera eccellente il sito di Gobekli Tepe nella mente del lettore).

Homo sapiens, homo scriptor?

E come la mettiamo con il Paleolitico? Ci sono misteriosi segni e raffigurazioni che appaiono di frequente su artefatti di diversi materiali, così come anche sulle pareti delle caverne. L’antropologo Martin Kuckenberg osserva che nelle culture preistoriche in cui non sembra essere esistito un sistema di scrittura e la tradizione veniva tramandata oralmente, possono essere purtuttavia esistiti simboli e segni dal significato ben preciso che avevano la funzione di comunicare messaggi all’osservatore attento.

Tipici sono le incisioni praticate su manufatti di osso, avorio, conchiglia o corno che contano anche fra le più antiche in assoluto. Ricordo l’osso inciso scoperto nel sito tedesco di Bilzingsleben, nella Turingia, un reperto risalente addirittura a più di 300.000 anni fa ed opera dell’abilità dell’Homo erectus heidelbergensis. Un oggetto impressionante, soprattutto se pensiamo che lo stesso giacimento paleolitico di Bilzingsleben era costituito da abitazioni e officine da lavoro con tanto di incudini.

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Nel Paleolitico superiore (a partire da 40.000 anni fa), artefatti di questo tipo si susseguono con una frequenza tale, che è davvero difficile non pensare a oggetti importanti, con una specifica funzione. Molti sono i bastoni ricavati dai materiali più differenti, dal corno all’avorio. Gli studiosi li hanno definiti “bastoni della numerazione”. Alcuni artefatti non presentano soltanto linee, ma anche segni a “V”, oppure a “X”. Tipico è il caso di una tavoletta di scisto scoperta nella Grotta di Pekarna, nella Repubblica Ceca, che risale a 12.000 anni fa e riporta appunto questa combinazione di segni misteriosi. Emblematico è poi il caso della tavoletta di osso del sito paleolitico francese Abri Blanchard, nella Dordogna. Un prezioso reperto portato alla luce insieme con molti altri pezzi di inestimabile valore nella grotta tedesca di Geißenklösterle, non lontano da Ulm. Il museo è stato inaugurato all’inizio del 1998 in un nuovo edificio appositamente costruito dalla città di Neu-Ulm, in Petrusplatz.  Un pezzo che risale a ben 30.000 anni fa. È fatto di avorio di mammut e misura appena 3,8 cm di lunghezza. L’artista dell’Aurignaziano lo ha lavorato da entrambe le facce. Da una parte si vede una figura di difficile interpretazione, con le braccia alzate verso il cielo come fosse in preghiera (per questo la figurina è stata chiamata l’Adorante), le gambe sono divaricate e, fra le gambe, appare il lembo di un perizoma oppure una coda di animale. Difficile dire se si tratti di una figura esclusivamente umana, oppure zoomorfa. Questi sono soltanto alcuni dei tanti manufatti del Paleolitico superiore che potrebbero far parte di un’ampia simbologia la quale, molti millenni dopo, avrebbe ispirato veri e propri sistemi di scrittura. A ciò si uniscono poi le pitture nelle grotte, tutto un mondo a sé, ricco di bellezza e mistero. Le raffigurazioni di animali sono accompagnate spesso da punti, linee, segni e cerchi.

TAVOLETTE ENIGMATICHE o BROTLIBIDOLE

Le Tavolette Enigmatiche della Età del Bronzo sono dei piccoli manufatti in terracotta o in pietra che recano – impressi o incisi – 54 segni geometrici di significato ignoto, ma che compaiono singolarmente o in associazioni diverse su 342 esemplari distribuiti praticamente su tutta l’area mitteleuropea, dall’Italia settentrionale – ritenuto il centro nucleare del fenomeno – lungo tutta l’area danubiana fino quasi al Mar Nero.
È uno dei problemi che interessa gli studiosi di preistoria europea e le interpretazioni sono diverse anche se sembra prevalere l’ipotesi che possa trattarsi di un sistema di comunicazione – anche diversificato secondo diverse aree culturali – attivo almeno tra il XXI e il XIV sec. a.C..
Il Museo di Cavriana, per intervento di Adalbeto Piccoli e di Alessandro Zanini, nel 2010 promosse un Convegno Internazionale sull’argomento e in quella occasione, fungendo da centro coordinatore degli studi, presentò il primo CORPUS delle Tavolette Enigmatiche Europee che viene continuamente aggiornato. Oltre alla loro forma, sappiamo che sono diffuse in un’area molto vasta che va dall’Italia settentrionale ai Carpazi, fino al Basso Danubio. Sappiamo anche il loro inquadramento cronologico: dal Bronzo Antico evoluto (ca. 2100 a.C.) fino al Bronzo Medio avanzato (ca. 1400 a.C.). Inoltre provengono quasi tutte da abitati e solo in rari casi da necropoli o sepolture. A cosa servivano quindi queste tavolette?

Nel corso degli anni sono state avanzate molteplici ipotesi. L’ipotesi più accettata e diffusa allo stato attuale delle ricerche è quella del sistema di calcolo. I segni geometrici venivano impressi sulle tavolette a crudo, poi venivano cotte e alcune anche verniciate. Questa caratteristica ha fatto pensare ad una contabilità duratura ed importante, accostata da alcuni studiosi (Piccoli e Zannini) a sistemi analoghi in uso nel vicino oriente. L’ipotesi funzionale, di conteggio di beni o merci, è avvalorata dal ritrovamento delle tavolette principalmente in contesti abitativi, dove si svolgeva la vita quotidiana delle persone e quindi anche il commercio o l’immagazzinamento

Incisioni rupestri della Val Camonica

Le incisioni rupestri della Val Camonica si trovano in provincia di Brescia e costituiscono una delle più ampie collezioni di petroglifi preistorici del mondo. L’arte rupestre è segnalata su circa 2 000 rocce in oltre 180 località comprese in 24 comuni, con una particolare concentrazione nelle municipalità di Capo di Ponte, Ceto, Cimbergo e Paspardo, Sonico, Sellero, Darfo Boario Terme, Ossimo  …Correva l’anno 1979 quando l’arte rupestre nel bresciano è stata iscritta nella Lista Patrimonio UNESCO. L’ UNESCO, ha riconosciuto oltre 140 000 figure, anche se nuove ininterrotte scoperte ne hanno progressivamente aumentato il numero complessivo portandole fino a duecentomila se non trecentomila. Le raffigurazioni ci raccontano diversi momenti della vita quotidiana, e momenti di spiritualità, degli antichi abitanti della Valle: scene di culto e danze si affiancano o si sovrappongono a scene di agricoltura e a scene di caccia, creando immagini così dense di significato che gli archeologi.
Le incisioni rupestre sono un incredibile testamento ed eredità delle popolazioni che hanno vissute in queste terre e ci hanno lasciato un così prezioso patrimonio. Realizzate lungo un arco temporale di ottomila anni fino, dalla Preistoria al Medioevo: Epipaleolitico, Neolitico, Età del rame, Età del bronzo, Età del ferro.

Nel cuore della Valcamonica la Roccia di Bedolina è in assoluto tra i più antichi esempi di descrizione di un territorio e una società. (al riguardo consiglio di consultare un libro magnifico di Thomas Reinertsen Berg, dal titolo “Mappe. Il teatro del mondo”, edito da Vallardi, anno 2019); interpretata come raffigurazione di appezzamenti coltivati, sentieri di montagna e villaggi. Età del ferro.

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La roccia di Bedolina in Val Camonica

SUMERI

Nell’ area geografica situata tra la bassa Mesopotamia ed il Golfo Persico, che in antico fu centro di grandi civiltà e tra queste i Sumeri, generalmente posizioniamo la nascita della scrittura. Quei Sumeri che per primi affrontarono il problema del trasferimento o conservazione dei loro dinamici rapporti commerciali, sia interni che esterni al loro stato, con documentazioni che li catalogassero e ne facessero memoria. Fu questa probabilmente l’origine delle celebri Tavolette d’Argilla impresse con definizione, da segni o simboli corrispondenti a merci o valori diversi. Più tardi questi simboli saranno sostituiti da immagini, pittogrammi, ideogrammi virgola che verranno a loro volta semplificati introducendo l’uso dei caratteri cuneiformi combinabili tra loro per comporre numeri, nomi, parole.

A questo punto era stata inventata la scrittura

Le iscrizioni sumere più antiche risalgono alla fine del quarto millennio a.C. Notare che da noi si è ancora nel pieno sviluppo delle culture neolitiche anche sei primi veri e propri testi letterari in caratteri cuneiformi finora noti risalgono al 26 esimo secolo a.C.

La lingua sumera parlata venne poi gradualmente abbandonata e sostituita da altre come l’accadico verso la fine del III millennio a.c, Inizio del secondo millennio a. c.

Per contro la lingua scritta proseguì con gli Scribi accadici paleo-babilonesi ed ellenistici. L’accadico e il babilonese scritti con caratteri cuneiformi derivati dalla cultura sumera diverranno praticamente nel corso dell’intero secondo millenio a.c. le lingue parlate scritte di tutto il vicino Oriente civilizzato fatta eccezione del Lazio e dell’Egitto.

Nell Egitto antico l’esistenza di una lingua scritta si attesta poco dopo l’affermazione di quella Sumera.

E’ composta da geroglifici (letteralmente: sacre lettere incise) cioè da pittogrammi o ideogrammi che rappresentavano parole intere e da segni fonetici che ne esprimevano i suoni. Le prime iscrizioni geroglifiche risalgono al periodo dinastico antico (3100-2160 a.C), si svilupparono nel corso del medio regno (2160 -1780 a.C.) , ma vennero ancora impiegate, seppur con qualche modifica, in iscrizioni monumentali del primo millennio a.C. Nel corso della sua storia non venne mai fatto alcun tentativo di semplificarne il concetto di base, nemmeno quando furono introdotte le forme in corsivo: scrittura ieratica e scrittura demotica, che rimasero in uso fino a tutto il quarto secolo d.C. Ma a questo punto trattare l’argomento della scrittura egizia impegnerebbe troppo spazio e tempo e stante la ponderosa produzione di studi e scritti al riguardo ritengo opportuno non addentrarmi oltre sull’argomento.

Ritorniamo dunque alla Lingua Sumera e riassumiamo brevemente l’ipotesi dell’origine.

Un popolo, di razza non semitica, in età lontanissima, occupò la Babilonia e scrisse la propria lingua agglutinante con segni i quali rappresentavano parole in qualche caso, e sillabe in qualche altro: p. es. indicava il “capo”, si pronunziava nell’idioma sumerico shag, e nel tempo stesso valeva, come sillaba, shag. I Semiti, che nella Babilonia successero ai Sumeri, presero da questi il sistema di scrittura, ma pronunziarono semiticamente gl’ideogrammi: p. es., nel senso di “capo” lo lessero reshu.

L’importanza della scrittura cuneiforme in genere si rileva dal largo uso che ne fu fatto in varie parti dell’Asia anteriore. Una serie di documenti della Cappadocia, compilati in lingua assira forse nel 3° millennio a. C. presentano (oltre che specialità grammaticali) specialità grafiche, di segni cuneiformi. Altrettanto può dirsi delle tavolette di Tell el-‛Amārnah (Egitto) scoperte nel 1886-87, e contenenti una corrispondenza dei secoli XV-XIV a. C. fra i principi della Babilonia, di Mitanni (Mesopotamia) e della Palestina da un lato – e due re dell’Egitto dall’altro (Amenophis III e Amenophis IV).

Gli Hittiti si servirono della scrittura cuneiforme (come le contrade di Mitanni e di Arzawa). Gli Armeni, dal sec. IX a. C., nel paese attorno al lago di Van presero dagli Assiri i caratteri cuneiformi, coi quali scrissero la loro lingua (conosciuta finora poco e solo imperfettamente). È da considerare come ultimo sviluppo del sistema cuneiforme l’antica scrittura persiana.

Ebla

Ebla fu un’antica città del Bronzo antico, rifondata due volte e infine distrutta alla metà del II millennio a.C., i cui resti si trovano nei pressi della moderna Tell Mardikh. Ebla, fiorita tra il 3000 e il 2250 a.C. di forma circolare, con quattro porte; era rinomata per la bellezza dei suoi tessuti.

In conflitto con la città di Accad, circa nel 2000 a.C. fu occupata da Naramsin, nipote di Sargon. Ebla, sviluppò i suoi traffici e l’economia e quindi fu distrutta definitivamente nel 1600 a.C. dagli lttiti.  Nel palazzo reale sono stati trovati archivi contenenti preziosissime tavolette scritte in carattere cuneiforme; la lingua è un’interessante e antica varietà di semitico. Pure semitico era il pantheon della città (sono stati rinvenuti i nomi di Dagan, Ishtar, Rashap), mentre la letteratura aveva subito I’influenza sumera..

Il nome di Ebla è entrato nella storia dell’archeologia orientale quando, nel 1975, undici anni dopo l’inizio degli scavi nel sito allora noto solo con il nome moderno di Tell Mardikh, Paolo Matthiae e il suo Team portarono alla luce gli Archivi di Stato del 2300 a.C., con migliaia di tavolette cuneiformi, intere e frammentarie, la cui scoperta ha stupito il mondo scientifico internazionale e ha fortemente colpito l’opinione pubblica mondiale

Il panorama delle lingue antiche che sono giunte sino a noi o che si perpetuano in alfabeti moderni non sarebbe completo se non ne ricordassimo altre, meno note, ma fondamentali.

Nel corso dell’età del bronzo (2100 – 1100 a.C.)  a Creta e In Grecia si diffusero due tipi di scrittura lineare, così definita da Evans per distinguerle da quelle pittografiche o geroglifiche. Ciascuna presentava caratteri sillabici incisi su argilla con uno strumento a punta aguzza. Il tipo lineare A non è ancora ben decifrato, mentre il tipo lineare B e stato decifrato nel 1952 e rappresenta una forma primitiva della lingua greca.

Dal 1000 a.C. in poi si affermarono altre lingue indipendenti spesso riferite a testi scritti e tra queste il fenicio, il semitico, l’ebraico.

I Fenici svilupparono e diffusero un alfabeto che fu precursore di tutti gli alfabeti moderni, ma i suoi caratteri comprendevano soltanto consolanti. Esso comprendeva una serie di segni in grado di rappresentare i suoni delle lingue semitiche, ed era composto quasi esclusivamente da consolanti dato che evidentemente non era prevista la rappresentazione delle vocali come accade anche oggi in alcune lingue slave.

L’ Alfabeto fenicio venne adottato in Grecia intorno al settimo secolo a.C, principalmente in Eubea. Ma dal momento che la lingua greca richiedeva anche la scrittura delle vocali, per rappresentarle si utilizzarono i segni corrispondenti alle consonanti semitiche che non venivano usate dai greci, dandovi un diverso significato. Questa operazione maturo verosimilmente in un’area nella quale greci e fenici dovevano frequentarsi abitualmente e ben presto determinò la formazione di una nuova serie alfabetica ben definita composta da 26 lettere, diffusa in tutta la Magna Grecia e nelle zone costiere Calabro-Campane.

Anche gli Etruschi adottarono un alfabeto di origine greca composto da 26 lettere, che venne progressivamente adeguato alle esigenze della lingua. Questo modello ebbe un’ampia diffusione e raggiunse rapidamente anche tribù italiche che parlavano altri idiomi nell’ Etruria settentrionale però vi giunse in una forma lievemente ridotta tant’è vero che l’alfabeto etrusco diffuso dal Lazio alla Toscana e all’ Emilia detto appunto settentrionale comprende solamente 20 lettere. Il movimento di espansione etrusca verso i mercati pagani e oltrealpini contribuì a far conoscere la lingua anche alle popolazioni ivi stanziate (veneti, liguri, leponzi, reti, e altre…) che in parte la adattarono anch’essi alla loro originale.

Le testimonianze archeologiche ci offrono numerosi esempi di iscrizioni dedicatorie incise con strumenti appuntiti sul vasellame e su oggetti vari, nonché frasi propiziatorie scritte su statuette votive, cippi e piedistalli, esistono anche alcuni interessanti documenti legati all’insegnamento di questa disciplina. Da un santuario di Este presso Padova provengono numerosi ex voto rappresentanti gli strumenti necessari, stili e tavolette, fra le quali ve ne sono alcune quadrettate con caselle quadrangolari contenenti elementari esercizi di scrittura; una serie alfabetica completa e incise invece sul piede di una ciotola etrusco padana rinvenuta presso Mantova. Pure l’alfabeto latino, come quello delle altre lingue italiche è da considerarsi un alfabeto greco occidentale leggermente modificato ed è tuttora controverso se sia stato mediato da quello etrusco. Tra il sesto e il quinto secolo viene modificato con le introduzioni di nuove lettere come la B e D; soprattutto ne viene modificata la grafia che viene praticamente capovolta per orientarla da sinistra a destra. Se osserviamo una qualsiasi tavola comparativa contenente un alfabeto arcaico greco, i vari alfabeti italici di radice etrusca e l’alfabeto Sabino latino del sesto e quinto secolo constatiamo come le lettere di quest’ultimo, in molti casi già sai simili alle nostre le facilmente leggibili, non sia altro che la versione speculare dei primi. Comunque nella stessa Roma la grafia etrusca rimane di uso comune almeno fino alla fine del quinto secolo. Al 480 a.C. si può attribuire forse il primo esempio di quella epigrafia Latina classica che tutti conosciamo, costituito da una lastra dedicata a Marte che fa riferimento ad un sodalizio militare. In esso compaiono i primi caratteri, cosiddetti monumentali, con i quali saranno scritti i testi di innumerevoli stele, are, cippi, monumenti.

Oggi disponiamo di un repertorio classico estremamente ricco, conosciamo i testi della letteratura Latina e greca e anche il diritto romano c è ben noto attraverso leggi e decreti incisi su materiale durevole.

Nel mondo greco e romano, le iscrizioni sacre, funerarie celebrative erano generalmente scolpite su cippi o aree in pietra, mentre determinati testi di legge o particolari documenti pubblici venivano iscritti su lastre di legno appositamente trattato, bronzo, piombo, marmo. Per le scritture correnti e le comunicazioni epistolari si impiegavano strisce di papiro o di tela di lino, su cui si scriveva con calami e inchiostri naturali. Questi scritti poi venivano volti sotto forma di rotoli, detti libri, sigillati, spediti o conservati in archivi o biblioteche; per brevi testi o piccoli appunti erano generalmente usate delle tavolette cerate sulle quali si scriveva con stili di metallo o di osso; questi avevano un’ estremità appuntita per incidere e la seconda fatta forma di piccola spatola piatta per spalmare e liberare la cena o per cancellare eventuali errori.

Dalla lingua e dai caratteri prettamente semitici derivarono quasi tutte le lingue orientali e quella araba, le cui iscrizioni più antiche compaiono intorno al 500 a.C.

L’ebraico invece e rimasto in uso fino ai nostri giorni praticamente immutato (da:  http://spazioinwind.libero.it)

Bereshit aleph, il primo capitolo della Genesi, scritto su un uovo.

Bereshit aleph, il primo capitolo della Genesi, scritto su un uovo.

Nella seguente tabella si confrontano gli alfabeti delle principali lingue del mondo classico:

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A Gubbio (IGUVIUM, in antico) rivive il mondo degli antichi umbri, in un evento dedicato alle “Tavole Eugubine”

Rivive il mondo affascinante degli antichi umbri. Popolo autoctono, la cui cultura non è morta, grazie alle preziose Tavole Eugubine, che hanno saputo tramandare quasi intatti i riti religiosi di una popolazione che ha avuto scambi commerciali e culturali con gran parte del mondo antico dell’Italia centrale. Le “sette Tavole Eugubine”, sono il più antico documento dell’Italia preromana; le Tavole Iguvine, redatte in parte a caratteri umbri e latini, rimandano all’esistenza di una città-stato, il centro più importante del popolo degli Umbri, l’unico forse paragonabile alle città-stato etrusche, con rinvenimenti del IV secolo a.c. Si tratta di sette lastre di bronzo di diverse grandezze con incisioni, in parte anche sul retro, in lingua umbra, di cui cinque in caratteri etruschi, del III e II sec. a.c., e due con caratteri latini adattati alla lingua, del I sec. a.c.

Contengono una precisa descrizione di rituali religiosi e sacrifici . Vi si narra di dodici corporazioni, riunite in tre grandi gruppi: natine petrunia – lavoratori della pietra, natine vuhicia – trasportatori e sehmenies tekufies – commercianti e artigiani. Vengono menzionati popoli nemici come gli Etruschi (etruskus), quelli di Terni e della Valnerina (naharskus) e quelli di Gualdo Tadino (Tarsinater), dei quali si chiede agli Dei l’estinzione.
Ma vi sono prescritti anche specifici rituali: Anche se la scrittura ha i caratteri dell’alfabeto etrusco e di quello latino, la lingua non è né latina né etrusca. È il dialetto degli antichi popoli di queste terre. La difficoltà alla traduzione fece si che solo nel 1883, in un volumetto di Bucheler, fu data una interpretazione considerata definitiva, finchè nel 1940 il prof. Devoto, decifrandole con metodi più moderni e accurati, pubblicò le “Tabulae iguvinae”, il più completo e preciso documento interpretativo delle tavole.

Ma curiosiamo un po’ fra gli Etruschi

La Tabula Cortonensis, una lamina in bronzo risalente al III o II secolo a.C. con iscrizioni in lingua etrusca, spezzata in otto parti di cui una mancante. La tavola, delle dimensioni di un foglio di carta da lettera, contiene 206 parole ed è considerata il terzo testo etrusco per lunghezza dopo la Mummia di Zagabria e la Tegola di Capua. Ritrovata nel 1992, a Cortona, è con molta probabilità un atto notarile in cui si descrive una vendita di terreni.

IL Cippo di Perugia, un cippo confinario che presenta su due lati una lunga iscrizione di circa 136 parole.

Le lamine di Pyrgi: tre lamine d’oro del VI secolo a.C., con la stessa iscrizione riportata in etrusco e in punico, rinvenute nei pressi di Santa Severa, l’antico porto di Pyrgi.

Liber linteus, ritrovato in Egitto a metà del XIX secolo, è il più lungo testo in lingua etrusca di cui disponiamo. Si tratta di un drappo di lino suddiviso in dodici riquadri rettangolari, utilizzato per bendare la Mummia di una donna. L’iscrizione fu riportata dall’Egitto come cimelio dal croato Mihail de Brariæ, ed è detta anche “Mummia di Zagabria” in quanto conservata nel museo archeologico di Zagabria. Il testo di circa 1200 parole, che reca un calendario rituale, fu riconosciuto e studiato solo alla fine del XX secolo.

ED ORA SPOSTIAMOCI A ROMA e alla storia della scrittura e della lettura nel mondo Romano.

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Donna con tavolette cerate e stilo (cosiddetta “Saffo”)

Museo Archeologico Nazionale di Napoli (inv. nr. 9084). Affresco romano, del 50 circa, da Pompei (VI, Insula Occidentalis) – Rinvenuto nel 1760, è uno degli affreschi più noti ed amati, comunemente detto Saffo. Ritrae in realtà una fanciulla dell’alta società pompeiana, riccamente agghindata con una retina d’oro sui capelli e grandi orecchini d’oro; essa porta lo stilo alla bocca e tiene in mano le tavolette cerate, notoriamente documenti contabili che dunque nulla hanno a che vedere con la poesia e ancor meno con la famosa scrittrice greca.

I secolo. POMPEI. (Da EVA CANTARELLA E LUCIANA JACOBELLI, Nascere, vivere e morire a Pompei, Electa, 2011.

Da Pompei. Tempio di Iside, portico nord. Il sacerdote che legge sul rotolo di papiro le formule del rituale era detto hierogrammateus o anche pteroforo per le sue piume di struzzo che gli ornavano il capo. napoli, Museo Archeologico Nazionale, inv. 8925.

Da Pompei. Tempio di Iside, portico nord. Il sacerdote che legge sul rotolo di papiro le formule del rituale era detto hierogrammateus o anche pteroforo per le sue piume di struzzo che gli ornavano il capo. Napoli, Museo Archeologico Nazionale, inv. 8925.

Dalla zona vesuviana. Quadretto raffigurante due fanciulle: quella in primo piano ha una tavoletta nella mano sinistra e porta lo stilo alle labbra con un fare meditabondo secondo uno schema comune ad altre immagini del genere. I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale, inv.9074.

I secolo. Pompei. Da Mary Bard, Prima del Fuoco, Pompei, Storie di ogni giorno. Editori Laterza, 2011.