1470 PETRARCA, Canzoniere e Trionfi (miniato)

Francesco Petrarca, Canzoniere, Trionfi Venezia, Vindelino da Spira, 1470 H 12753; BMC V, 154-155; IGI 7517 Decorazione: Antonio Grifo.  Brescia, Biblioteca Civica Queriniana, Inc. G V 15.

Il libro è di proprietà della Biblioteca Civica Queriniana di Brescia.

1470 PETRARCA MINIATO di Vindelino da Spira (PDF)

Cartaceo, 4°, ff. I (membranaceo), 155, caratteri roma­ni; legatura recente in cuoio verde (1992) che ha sosti­tuito altra in marocchino rosso, non antica ma in stile, ancora conservata.

Ornamentazione: due frontespizi interamente decorati all’inizio del Canzoniere e dei Trionfi; numerosissime il­lustrazioni del testo poetico, di dimensioni varie, in qua­si tutte le pagine dell’incunabolo.

È certamente uno dei pezzi più celebri fra gli incunaboli conservati in Queriniana. Il ric­chissimo apparato decorativo e il corredo esegetico, che fanno di questo esemplare un unicum nell’editoria petrarchesca del secolo XV, sono stati recentemente attribuiti ad An­tonio Grifo, personaggio dai connotati stori­ci ancora imprecisi, ma di sicura origine ve­neta, rimatore e verseggiatore cortigiano, vis­suto a cavallo dei secoli XV e XVI. Il volume appartenne ai fratelli Giulio Antonio (1660­-1737) e Paolo Gagliardi (1675-1742), la cui biblioteca passò alla congregazione degli oratoriani di S. Filippo Neri presso S. Maria della Pace in Brescia e, dopo le soppressioni del 1797, alla Biblioteca Queriniana. Il re­cente restauro (1992) presso l’Istituto cen­trale per la Patologia del Libro di Roma ha appurato la caduta di un bifolio (158-165) e di un foglio (166) nel penultimo fascicolo, dove era il passaggio dal Trionfo della Morte al Trionfo della Fama, di due bifoli e di un fo­glio nel quaternione finale, dal v. 37 del Trionfo del Tempo al v. 129 del Trionfo del­l’Eternità, oltre che alla caduta di numerosi fogli singoli nei fascicoli precedenti.       a.b.

La singolare rarità dell’incunabolo consiste nella sua straordinaria decorazione, pratica­mente senza soluzione di continuità dalla pri­ma all’ultima pagina. Il Canzoniere querinia­no sembra essere infatti l’unico in cui ogni componimento appaia corredato da una pro­pria illustrazione, per quanto di non altissi­mo spessore qualitativo ed opera di un mi­niatore dilettante. Eppure è proprio la dimensione cortese e moderna dell’autore che sostiene l’arguto e concettoso commento fi­gurato, ricco di immaginose invenzioni, di gustose trovate e brio narrativo che trasfigu­ra in racconto galante-cavalleresco l’interiore esperienza amorosa del poeta. E in questo scenario di rarefatta imagerie cortigiana che si dipana, entro sfondi di amenissima verzu­ra, la schermaglia amorosa tra Laura e Fran­cesco, raffigurato come un giovane canonico sempre accompagnato dal triplice attributo del libro trafitto da una freccia e avvolto dal­le spire di un serpentello, argutissima me­tafora del poeta petrarchescamente colpito dallo strale d’amore e tentato dal serpente della lussuria. Spesso anzi la figura del poeta è sostituita dal suo simbolo-geroglifico che appare animato e cui è affidato il compito di inscenare con Laura il dramma d’amore; dapprima vispo e audace nelle rime in vita, che iniziano sempre con un ramo di lauro in­trecciato alla prima lettera, e fattosi poi me­sto e solingo nelle rime in morte dove anche il ramoscello si è seccato.

Il potenziale immaginifico della poesia pe­trarchesca è sapientemente sfruttato dal Grifo, il quale non si lascia sfuggire preziosi suggerimenti quando l’attacco del componi­mento è un’immagine stessa (“Passa la nave mia colma d’oblio”, “Movesi il vecchierel ca­nuto e bianco”), o quando contiene spunti di grande suggestione poetica. Così in “Chiare fresche e dolci acque” appare una sensuale Laura immersa nelle acque del Sorga, o nella canzone “Nella stagion che `1 ciel rapido in­clina” ci sentiamo emotivamente coinvolti davanti alla “stanca vecchierella pellegrina”, all”`avaro zappador” o al pastore che ricove­ra il gregge. Altre volte è attento a dar forma alle immagini più fantastiche che la poesia petrarchesca possa suggerire, come nella canzone “Qual più diversa et nova”, dove si compiace nel descrivere – come in un bestia­rio medievale – la fenice che rinasce dal suo rogo, il mitico catoblepa che uccide con lo sguardo, la roccia calamita che attrae a sé le navi e le favolose fontane del Mezzogiorno e dell’Epiro.

La serrata indagine di Giordana Mariani Ca­nova, di cui qui sostanzialmente si riassumo­no le conclusioni e cui si rimanda di necessità per una esauriente trattazione delle moltepli­ci problematiche, ha portato al riconosci-mento di Antonio Grifo quale autore delle il­lustrazioni e del commento. Il Grifo, vene­ziano di nazione ma bandito dalla Repubbli­ca per un crimine sconosciuto, condusse vita avventurosa al seguito di Roberto Sanseveri­no e dei suoi figli Antonio Maria, Galeazzo e Gaspare. Uomo di lettere e di torneo, esper­to di mode e di spettacoli, fu assiduo fre­quentatore delle più eleganti corti padane. Nel gennaio 1491 è presente a Milano al se­guito dei Sanseverino, per le nozze del Moro con Beatrice d’Este. Testimone d’eccezione, Leonardo ricorda “messer Antonio Gri ve­netiano chompagno d’Antonio Maria (San­severino)”, per il quale aveva disegnato un costume a piumaggi dorati con occhi di pa­vone in occasione della giostra organizzata da Galeazzo Sanseverino per le nozze ducali. Del suo ruolo di letterato e poeta presso la corte sforzesca ci informa invece Vincenzo Calmeta, segretario della duchessa Beatrice, che ricorda la apprezzata lectura Dantis di “uno Antonio Grifo huomo in quella facultà prestantissimo”. Attitudine all’esegesi dantesca che non ci sorprende affatto, visto che il Grifo è anche commentatore e illustratore – in forme del tutto simili al Petrarca querinia­no-di una Commedia oggi alla Casa di Dan­te a Roma. Non ancora identificata con cer­tezza sarebbe invece la dama committente: quell’Alma Minerva e Altissima Madonna” cui l’esemplare doveva essere dedicato. Scar­tata definitivamente l’ipotesi della regina di Cipro Caterina Cornaro (Baroncelli, 193 L), la studiosa identifica nella cerchia di influen­ti protettori dei Sanseverino la possibile destinataria dell’opera, che potrebbe dunque risultare Isabella d’Aragona, nipote di Ferdi­nando I re di Napoli andata sposa a Gianga­leazzo Sforza nel 1489, oppure Eleonora d’Aragona, figlia di Ferdinando e sposa di Ercole I d’Este, o la di lei figlia Beatrice spo­sa del Moro e duchessa di Milano dal 1491 al 1497. Non pare ad ogni modo che il dono giungesse mai a destinazione, e tuttavia il to­no di gaia frivolezza, l’arguzia un po’ piccan­te delle illustrazioni e il gusto agghindato per la moda, sembrerebbero meglio adattarsi al clima galante della corte sforzesca, per la quale dunque l’incunabolo, dopo aver rice­vuto una prima decorazione nel frontespizio in tempi vicini alla stampa (1470) sarebbe stato nuovamente e completamente illustra­to dal Grifo nei primi anni novanta.               m.m.

Bibliografia: Moretti, 1904, 46; Olschki, 1914-1915; Il Canzoniere miniato…, 1915; Baroncetli, 1931, 2d-25; Kunstschrätze…, 1948, 127; Donati, 1952; Baroncelli, 1970, 13 tav. IV, 301-302; Mariani Canova,1990(con bi­bliografia completa).